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La notte del 15 maggio 1979, la città di Vicenza dormiva sotto un cielo sereno. Era primavera inoltrata, l’aria tiepida e carica di profumi. Le strade erano deserte, le luci dei lampioni gettavano ombre tranquille sui marciapiedi. Nessuno avrebbe potuto immaginare che quella sarebbe diventata la notte più strana della loro vita.
Alle 2:47 esatte, quasi tutta la città si svegliò di soprassalto.
Anna, insegnante elementare, saltò fuori dal letto urlando. Aveva sognato di trovarsi ai piedi del Monte Berico, insieme a centinaia di altre persone immobili, tutte con il viso rivolto al cielo. Una luce verde, intensa come il sole ma fredda come il ghiaccio, si era accesa sopra il santuario. Poi un boato aveva squarciato l’aria e Vicenza era stata inghiottita da un bagliore bianco che cancellava ogni cosa: strade, case, il cielo stesso.
Suo marito Giovanni, operaio dell’Anic, si svegliò nello stesso istante, il cuore martellante. Aveva visto la stessa scena, identica, fino al lampo finale. Per un attimo rimasero in silenzio, respirando affannosamente, poi si guardarono con terrore.
Nella palazzina accanto, un bambino di otto anni piangeva e chiamava la madre, gridando che “la città è sparita”. Più lontano, in Viale Trieste, un ferroviere svegliò la moglie per raccontarle che aveva sognato il crollo del campanile della Basilica.
Nel giro di pochi minuti, il centralino dei vigili del fuoco e della polizia cominciò a ricevere telefonate: persone confuse, spaventate, che raccontavano tutte la stessa cosa. Era come se Vicenza intera fosse stata colpita dallo stesso incubo nello stesso momento.
La mattina del 16 maggio, la città era avvolta da un’atmosfera irreale. Alla stazione ferroviaria, i passeggeri aspettavano in silenzio, come reduci da una catastrofe. Chi osava raccontare il sogno, scopriva che l’interlocutore aveva vissuto la medesima esperienza. Stesse immagini, stessi suoni, stessa luce verde.
Il Giornale di Vicenza pubblicò un articolo intitolato:
“CENTINAIA DI VICENTINI RACCONTANO LO STESSO SOGNO NOTTURNO”
Gli psicologi locali parlarono di “sogno condiviso per suggestione”. Ma c’era un dettaglio che nessuno riusciva a spiegare: la coincidenza dell’orario. Tutti si erano svegliati nello stesso preciso minuto.
Quel pomeriggio, a venti chilometri di distanza, nella base sotterranea di Longare, alcuni ufficiali compilavano un rapporto urgente.
Il “Progetto Varco-79”, un esperimento segreto di propagazione elettromagnetica in banda ELF, era stato condotto proprio quella notte. L’obiettivo: trasmettere segnali a bassissima frequenza per comunicazioni sottomarine.
Alle 2:47, il grafico dei livelli di emissione mostrava un picco anomalo, seguito da interferenze su più bande. Un tecnico annotò a margine:
“Registrati fenomeni non previsti. Possibile interazione con attività elettrica cerebrale? Effetti da monitorare.”
Quella nota non sarebbe mai arrivata ai giornali.
Nei giorni successivi, le persone continuarono a parlare di quel sogno. Alcuni cominciarono ad avere incubi ricorrenti. Anna sognava ogni notte la stessa scena, ma sempre più nitida: ora vedeva i volti delle persone intorno a lei, riconosceva i vicini di casa, i colleghi di scuola.
Una sera, tornando dal lavoro, vide disegnato su un muro un simbolo che non aveva mai notato: un cerchio con tre linee ondulate che partivano dal centro. Lo stesso che continuava a vedere nei sogni. Non era l’unica. In vari punti della città apparvero graffiti con quel simbolo, come se qualcuno – o qualcosa – volesse ricordare a tutti ciò che era accaduto.
Il 20 maggio, un gruppo di cittadini si radunò nella sala parrocchiale per parlarne. Tra loro c’erano medici, studenti, operai, una giornalista. Tutti avevano avuto lo stesso sogno e lo sentivano crescere di intensità.
Uno di loro, un ingegnere radiofonico, portò un apparecchio di rilevazione.
— Ci sono ancora onde anomale nell’aria — disse, accendendo l’oscilloscopio. — Qualcosa sta trasmettendo, ogni notte, alla stessa ora.
Il gruppo decise di incontrarsi di nuovo la notte del 22 maggio, tutti svegli, per verificare se il fenomeno si sarebbe ripetuto.
Alle 2:40 erano tutti radunati in un prato ai piedi del Monte Berico. L’aria era immobile, stranamente priva di suoni. L’ingegnere piazzò il rilevatore su una sedia pieghevole. Alle 2:45, lo strumento iniziò a emettere un ronzio basso, che diventò sempre più forte.
Poi, all’improvviso, accadde.
Il cielo si tinse di un verde innaturale, come se una gigantesca lampada al neon si fosse accesa dietro le colline. Una vibrazione attraversò il terreno, i cani cominciarono ad abbaiare in tutta la città. E nel silenzio totale, sentirono un boato sordo, lontano, come un tuono che non trovava eco.
Anna cadde in ginocchio, stringendosi la testa. Vedeva di nuovo la scena, ma questa volta non era un sogno: la stava vivendo. Vide il lampo bianco partire dall’orizzonte e correre verso di loro. Chiuse gli occhi, convinta di morire.
Quando li riaprì, era stesa sull’erba, respirando affannosamente. La luce era scomparsa. Erano le 2:49.
Il giorno dopo, i giornali non ne parlarono. Non una riga, non una foto. Qualcuno aveva ordinato di tacere.
Il gruppo decise di non incontrarsi più. Troppo pericoloso. Alcuni lasciarono la città. Altri, come Anna, rimasero, ma iniziarono a dormire con le luci accese, temendo la prossima notte.
Primavera 2019.
Vicenza è cambiata, ma non troppo. Anna è in pensione, vive ancora nello stesso appartamento. Non ne parla quasi più con nessuno, ma ogni 15 maggio si sveglia all’alba, incapace di dormire.
Quell’anno, però, accade qualcosa che le fa gelare il sangue.
Sui social locali cominciano a comparire post di ragazzi che raccontano di un sogno strano: una luce verde sopra il Monte Berico, un lampo che distrugge la città. Stesso orario: le 2:47.
Anna esce sul balcone durante la notte. Il cielo è sereno. Il campanile della Basilica è illuminato come sempre. Ma lei resta sveglia, aspettando.
Alle 2:47 sente un ronzio basso, come un respiro nelle fondamenta della città. Poi, per un istante, il cielo si colora di verde.
Non c’è boato, non c’è lampo. Solo un silenzio assoluto, come se il mondo trattenesse il fiato.
Anna si accorge di non essere l’unica sveglia: sulle finestre di fronte, altre persone stanno guardando il cielo, immobili, illuminate dalla stessa luce verdastra.